In occasione dell’ultimo World Economic Forum, l’appuntamento annuale dedicato ai temi più rilevanti in materia di politica, economia, salute e ambiente, è stato presentato il report “The Future of Jobs” in cui vengono elencate le dieci competenze che saranno richieste entro il 2020. Tra queste, tutte connotate da elementi trasversali, compare l’intelligenza emotiva, definita come la capacità di riconoscere, comprendere, utilizzare e gestire consapevolmente le proprie e le altrui emozioni.
Talvolta confusa con l’empatia e la gentilezza, l’intelligenza emotiva ha un significato ben più rilevante, tanto da essere riconosciuta dai recruiter come una componente di cui tenere conto in fase di selezione. Comparso per la prima volta nel 1990 in un articolo dal titolo “Emotional Intelligence”, il concetto di intelligenza emotiva è stato ripreso nel 1995 da Daniel Goleman, che ha sottolineato come i leader e i team migliori sono quelli caratterizzati da elevate capacità emotive e sociali.
La consapevolezza e la gestione di sé, la consapevolezza sociale e la gestione delle relazioni, sono solo alcune delle componenti che la caratterizzano. Nelle organizzazioni che ritengono importante fare leva su di essa, le persone si sentono maggiormente apprezzate ed hanno la possibilità di esprimere appieno le proprie potenzialità a vantaggio di tutta l’organizzazione.
La necessità è di connettere l’intelligenza emotiva con l’apprendimento, capace di essere una “palestra” emotiva-cognitiva-relazionale adatta allo sviluppo di nuove competenze necessarie ad affrontare il mercato del lavoro, ormai profondamente mutato e influenzato dall’innovazione tecnologica e caratterizzato da un grado di complessità dei processi sempre maggiore.